Non sono i giovani a non voler lavorare, sono le ditte a non voler pagare

Il bombardamento mediatico dei mestieri antichi che i giovani non vogliono più fare è all’ordine del giorno da anni. Abbiamo visto in poco tempo fabbri, biciclettai, panettieri, casari, pastori e calzolai. Questa volta è toccato ai pizzaioli con la FIPE, l’associazione di categoria, che lancia l’allarme: mancano 6000 pizzaioli in Italia. Il motivo, secondo loro, è da ritenersi il duro lavoro e i weekend sacrificati, che i giovani non si sognano neppure di fare.

La solita offesa quindi, il solito ritratto di giovani inerti, pigri e passivi che preferiscono campare sulle spalle di mamma e papà piuttosto che rimboccarsi le maniche. Eppure, afferma il servizio andato in onda al Tg, si prendono dai 1000 ai 1500 euro a fare il dipendente ed esiste un circuito di formazione continua, per rimanere competitivo. Come mai quindi i giovani si rifiutano di fare un lavoro duro ma giustamente compensato?

Facendo un giro su Internet, specialmente sui Forum, si scopre che la realtà è un tantino diversa. Shade (ovviamente il suo nickname), sul forum di www.pizza.it, in un post del 2005, afferma di prendere 750€ al mese, ovvero 3,50€ l’ora per 8 ore al giorno. Le risposte, susseguite negli anni,denunciano situazioni analoghe o di poco migliori. Si arriva a 5 euro l’ora lorde per pizzaioli inesperti, ma con contratti che non permettono di arrivare oltre le 800€ mensili. Sempre sullo stesso forum, leggiamo di ragazzi “assunti per il minimo indispensabile, nonostante svolgano giornata piena e con gli straordinari pagati in nero”. In poche parole, contratti spesso part time nonostante il lavoro full time, a discapito di quelle che sono assicurazioni, contributi e garanzie per il lavoratore in caso di malattia.

Manpizza (altro nick) racconta poi, per i fortunati assunti in regola, la difficoltà nel salire di livello. L’apprendista di solito, scrive, viene assunto con un quarto livello sindacale ma difficilmente a fine contratto viene confermato con un livello superiore, come dovrebbe accadere con i contratti di apprendistato. Inoltre, scrive, spesso gli scatti di anzianità, maturati anche restando nello stesso livello, vengono “dimenticati” dai datori di lavoro, mantenendo paghe invariate per lunghi periodi, nonostante l’esperienza acquisita. Sicuramente non una nota favorevole a chi si deve affacciare al mondo della pizza.

Sempre dallo stesso, apprendiamo che per un lavoratore in regola, con 60 ore settimanali, la paga è di circa 1.300€ lordi al mese (circa 1.000 euro netti), in cui festivi e festività infrasettimanali vengono conteggiate come ore normali e gli straordinari sopra le 60 ore conteggiate fuori dalla busta. Inoltre, spesso le ore serali vengono conteggiate in busta come lavoro diurno, per poter risparmiare qualche euro. E si ribadisce, questi sono quelli fortunati, in regola. Facendo un giro per la rete si trova una jungla di contratti a chiamata, in nero, “stagionali” che poi fanno tutto l’anno, ragazzi che fanno giornata piena assunti con part time e con difficoltà immense a farsi pagare il resto perchè “la crisi”, senza distinzione tra pizzerie con tavoli e da asporto.

Per capire il livello di “sfruttamento”, un apprendista metalmeccanico alla sua prima esperienza di lavoro, con 40 ore settimanali prende 900-950euro nette, sabato e domenica (se non fa i turni) a casa; una commessa part time 30 ore settimanali arriva ad 800 euro al mese. In un mondo come questo, senza assicurazioni, senza garanzie e con possibilità di carriera quasi nulle, perchè un ragazzo dovrebbe buttarsi in un mesteriere del genere?

Alla Fipe, quando ha lanciato l’allarme non è passato minimamente per l’anticamera del cervello di intervistare i giovani, gli apprendisti di adesso e capire perchè quei seimila pizzaioli mancano. A loro vorremmo dire che senza un contratto un pelo stabile non concedono neppure il finanziamento a 3 mesi per un cellulare. Un ragazzo che vuole maturare la sua indipendenza a queste condizioni, il pizzaiolo giustamente non lo farà mai.

Alla Fipe, così convinta che i giovani non facciano i pizzaioli perchè spaventati dalla fatica, vorremmo chiedere di presentarsi tra un mese davanti ad una qualsiasi conserviera e vedere chi fa la domanda per poter accedere alla campagna del pomodoro. Vedranno una fila di giovani tra i 18 ed i 26 anni, che sacrificano la loro estate per 1500€ euro circa su tre turni. Sono consapevoli che non tutti verranno chiamati, ma ci tentano. Tentano di entrare in una fabbrica dove per quattro mesi dovranno annusare fumi acidi, spostare barattoli, stare in locali che vanno da 40 gradi nei reparti “caldi” al freddo dei reparti di raffreddamento. Un lavoro che non è nè leggero, nè da fannulloni e che ogni anno ha la fila nei giorni di ricevimento domande.

Prima di lanciare accuse sterili verso quei “giovani tutto internet e divano” o di infondere false speranze attraverso servizi al TG lontani anni luce dalla realtà, vorrei chiedere alle associazioni di categoria, FIPe compresa, di uscire un attimo dalla logica dei contratti collettivi ed andare sui posti di lavoro per capire la situazione reale dei giovani al lavoro. Vorrei chiedergli: voi a quelle condizioni lo fareste? E se sì, per quanto tempo? Forse sarebbe la fine di queste inutili campagne che ogni anno non fanno altro che prendere in giro, attraverso mestieri diversi, chi tutti i giorni fatica a trovare un posto di lavoro che gli consenta di poter pensare ad un futuro anche modesto.